Una giornata particolare

scalpellino gennaroUn’altra giornata a caccia di storie. E dal sentiero alle porte del paese c’erano le osterie, la prima che si incontrava dal sentiero delle miniere, a Lettomanoppello, era “La ciuette” e lì dopo una giornata di fatiche ti aspettava quel vino, a volte traditore, che nella neve ti faceva lasciare una sola orma, perchè una scarpa l’avevi persa chissà dove. La Majella ne ha di storie da raccontare, perche dalla seconda metà dell’800 fino alla metà degli anni 50 del secolo scorso, c’erano questi minotori, insomma per farla breve, loro stavano là sotto, a cavare bitume, i treni, le teleferiche, portavano a valle le rocce, dove c’era la fabbrica e poi quelle mattonelle dovevano rendere più belle i corsi delle grandi città, da polverose ad asfaltate. E anche lì, ancora loro, gli abruzzesi, solo loro avevano quella perizia, quella esperienza, chiamavano sempre e solo loro. Li rivedi nelle foto d’epoca nei loro sguardi fieri intenti nella messa in opera a Napoli, Torino, Roma in quei posti di cui fino ad allora, magari avevano sentito solo parlare. Pagine dimenticate…poi ti accorgi che qualcuna di quelle pagine sembra essere stata cancellata del tutto, vedi in queste immagini sbiadite dal tempo le donne, ma come? E loro che c’entrano con la storia delle miniere? Sono state le prime, quelle che hanno faticato di più. Ore di cammino per prendere l’acqua e la legna e poi, finite le faccende a casa, prestissimo, altre ore di cammino per portare le pietre, con i canestri, sulla testa, pagate a cottimo, come i muli, più ne riportavano e più aiutavano a casa e i mariti che andavano a cercare lavoro si sentivano dire “se hai anche un mulo portalo, così guadagni di più”. La montagna è gelosa delle sue storie, si accorge sempre di tutto e qualcuna te la dice malvolentieri, come quella di quel ragazzino che ha perso la vita perchè come tanti suoi compagni della sua età, per gioco, si lasciava trasportare dalle teleferiche. La giornata si conlcude davanti alla bottega di Gennaro, l’ultimo scalpellino della “vecchia generazione”, scomparso qualche anno fa, si era scolpito la sua insegna che vedete nella foto.